Tempi di crisi, i nostri.
Si sarà ormai stufi di sentire questa frase da ben più navigati e consapevoli (?) esperti di economia, immagino quanto opportuna possa sembrare questa trita e ritrita espressione in un blog che, oltre che umile e poco pretenzioso, vuole evitare di trattare temi pesanti o poco gradevoli. A ricordarci la fine imminente ci pensi qualche apocalittico blogger con la fissa del 2012.
I miei ancora inesistenti lettori (arriverà mai qualcuno da queste parti? eheheh!) perdoneranno quindi questa super inflazionata espressione iniziale, che ho pensato di utilizzare non per introdurre uno stucchevole post alla “anche i ricchi piangono”, viste le leggere difficoltà in cui pare versare Prada , ma al fine di redarre un breve articolo, in odore di omaggi, riguardante personaggi che come Miuccia Prada non smettono, nonostante il periodo economicamente tutt’altro che felice, il loro ruolo di promotrici di opere in un certo senso rivoluzionarie, e di conseguenza provocatorie e spesso non capite.
Più per completezza d’informazione e passione per gli argomenti di taglio finanziare, riassumo velocemente i suddetti “guai” della holding in questione. Ancora una volta, le banche sembrano svolgere la parte del “lupo cattivo” nella faccenda. Nonostante la proroga di restituzione di due tranche di debiti, pari a 100 milioni di € e 350 della seconda, entrambi rimandati al 2012 ( salvo inatteso Giorno del Giudizio), il gruppo risulta essere ancora debitrice di circa 1,2 miliardi di € nei confronti di gruppi bancari quali Unicredit, Intesa Sanpaolo e la francese Cralyon, cifra che naturalmente preoccupa il patron del gruppo, Patrizio Bertelli. Due soluzioni plausibili e indicate consistono o nell’acquisizione da parte del gruppo Richemont, già proprietario di marchi del lusso quali Montblanc, Cartier, Van Cleef&Arpels, Vacheron&Constantin tra le altre, proposta però accolta tiepidamente, data l’alta richiesta da parte dei venditori ( pare 2,7 miliardi, debiti inclusi, per la holding e gruppo esecutivo) e la sostanziale inesperienza di un gruppo coraggioso e competente soprattutto per quanto riguarda l’alta orologeria e il lusso, ma inesperto su alta moda et similia, oppure la seconda possibilità, più volte tentata, ma mai riuscita, cioè l’approdo di Prada in borsa, che però ancora una volta pare essere problematico. La ricerca di un partner finanziario e industriale, magari avanzando diverse pretese, pare essere la strada più probabile.
Tornando quindi al nostro discorso originario, vista la situazione non così brillante, cosa rende così degni di lode i nostri amici di Prada? Innanzitutti il rifiuto ad un atteggiamento di chiusura così tipico di molti nei confronti della crisi, testimoniato dall’ investimento, solo quest’anno, di circa 165 milioni di € su store Prada e Miù Miù, che sono così in costante aumento, come lo è il ricavo netto, passato da 99 milioni a 100 di fatturato netto dall’anno scorso ad oggi, pur ammettendo come, viste le cifre prima trattate, questo aumento sia decisamente una cosa di poco conto. Quindi, centrando l’argomento centrale del post, l’atteggiamento che potremmo chiamare mecenatistico nei confronti di opere decisamente innovative.
Da studente ed appassionato di Architettura, non posso esimermi dal trattare dell’ormai famoso “Prada Transformers”, ambiente tanto versatile quanto visionario, creato dalla universalmente nota archistar Rem Koolhaas. Sappiamo tutti quanto gli star-architects possano essere personaggi ambigui, ma pochi altri possono vantarsi di superare in stranezza il designer olandese. Fondatore degli studi OMA, più strettamente archittettonico, e AMO, dedicato interamente a indagini di marketing, pubblicità e ricerca, oltre che per i suoi capolavori è passato recentemente agli onori di cronaca grazie a comunicati stampa in cui accusava colleghi come Foster, Libeskind e Hadid e decretava la fine dell’era delle archistar.
Dimostrato un paraculismo di dimensioni epiche (mi si scuserà l’espressione), il nostro si è guadagnato, oltre a vari insulti da parte del noto antropologo palermitano La Cecla, docente di urbanistica e simili in alcuni dei maggiori istututi e scuole politecniche d’Europa, il soprannome di “Profeta che veste Prada”, vista anche la confermata e longeva collaborazione tra le due “firme”
Conclusa la parentesi, secondo me legittima per l’eccezionalità del personaggio, passiamo a questo fantomatico Trasformers. Non è la prima ne sicuramente l’ultima volta che una maison si affida ad una grande firma architettonica, anche per quanto riguarda strutture smontabili e trasferibili in tutto il mondo, basti ricordare la già citata Hadid per l’itinerante Museo Chanel, ma l’idea dietro a questo “montabile” enorme è decisamente inusuale. Lasciando stare particolari ornamenti formali tipici dell’architettura, la straordinarietà è sita nella trasformabilità.Ognuna delle facce del tetraedro (si tratta quindi di un poligono di quattro facce, ognuna di queste di forma triangolare) è dotata di infrastrutture che renderanno possibile una diversa fruizione do ognuna di esse. Nello specifico si può godere di una base per “Special Events”, un’altra per “Fashion Exibitions”, quindi “Art Exibitions”, e infine “Cinema”. Come cambiare opzione d’uso? Semplicissimo, ribaltando la struttura, con una enorme gru. “Così le pareti diventeranno soffitti, i soffitti muri, o pavimenti, e così via” spiega patron Bertelli.
Disegno progettistico del Transformer, con destinazioni d’uso, a seconda della facciata d’appoggio: in ordine FASHION EXIBITION, ART EXIBITION, CINEMA, SPECIAL EVENTS
Innaugurata a Seoul, ad evidenziare l’importanza dell’Oriente per la Maison, forse presto l’edificio mutante arriverà a Milano, addirittura stabilmente, al fine di diventare uno dei simboli di Milano Expo 2015.
Lunga vita a chi sperimenta quindi, e a chi dà la possibilità di farlo, andando oltre i preconcetti. Anche se molto ingenuamente, credo sia l’unica via da seguire per scacciare una crisi, quella culturale, forse meno preoccupante, ma altrettanto infida e serpeggiante.
Alcuni renders del Transformers, e sopra particolari di “catwalk” progettate da AMO per Prada.